SIGUR ROS – Ágætis Byrjun

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  1. Annet
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    Sigur Ròs – Agaetis Byrjun

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    (1999)


    Tracklist:

    1. Intro
    2. Svefn-g-englar
    3. Starálfur
    4. Flugufrelsarinn
    5. Ný Batterí
    6. Hjartað hamast
    7. Viðrar Vel Til Loftárása
    8. Olsen Olsen
    9. Ágætis Byrjun
    10. Avalon

    A volte il solo osservare dalla finestra la nebbiolina grigia che si posa dolcemente sulla campagna secca e statica riesce a trasmetterti più che un semplice colore plumbeo, che va a riflettersi sul tuo umore. Capita raramente di fermarsi e di scrutare dal finestrino di un treno in movimento la tua terra, traslandola con una terra lontana, che forse non vedrai mai e che probabilmente non vorrebbe vederti neanch’essa. Il sapere che è lì ti conforta, decidi di evocarla e di trattenerla quanto più possibile, ma lei, libera ed incontaminata, ti sfugge sempre di mano, lasciandoti nel tuo treno, osservando dall’alto fiumi in secca, offuscati dalla tua vista ormai appannata.
    Chi l’ha mai detto che ci vogliono le parole, per trasmettere un concetto, un’emozione, per smuovere pensieri e celebrare luoghi così disgiunti dai nostri da far venire le lacrime agli occhi? C’è forse qualche essere umano che afferma ancora che la lingua più musicale sia necessariamente l’inglese? No, mai lasciarsi prendere da generalizzazioni e luoghi comuni. Anche perché i Sigur Ros di comune hanno proprio ben poco: qualsivoglia catalogazione ed omologazione potrebbe essere erronea e fuori luogo, qui si sta parlando d’emozioni che punzecchiano lembi di carne viva, che mirano alla sostanza, all’irripetibilità, ad una sorta di eleganza materna, che cinge armoniosamente il pancione, avvertendo dei lievi scalci sottopelle.
    Agaetis Byrjun è l’apoteosi dell’armonia tra musica, natura e rispetto per ciò che, tutt’amalgamato, il mondo conserva. È come trovarsi di fronte ad una creatura in evoluzione che, tenuta in serbo dietro ad un vetro, ci attira a sé con placidità, attenzione e pathos. È come se ci trovassimo dietro a questo vetro, accarezzandolo, sentendo il freddo sui nostri polpastrelli, come se per la prima volta ci sentissimo davvero vivi.
    Parlare semplicemente di musica appare dunque riduttivo per un album della durata di settantadue minuti che non sfiorano mai neppure lontanamente la banalità e la consuetudine.
    Il disco si apre con l’evocativa “Intro” fatta di cori quasi fiabeschi, un’adunata di tanti piccoli folletti che si fanno rincorrere dal nostro udito per lande inesplorate, alla ricerca di ghiacciai e vulcani, scoprendo geyser, cascate, laghi e pareti sconfinate, diritte a piombo su di un mare glaciale, profondo, così blu da sembrare irreale.
    Arrivati al limite della sconfinata pianura si apre a noi “Svefn-G-Englar”, nella quale si accoppiano chitarre elettriche e i sussurri flebili e fetali di Jonsi Birgisson.

    Torno sempre negli stessi posti
    Silenzio totale
    Nessuna risposta


    Suoni antichi si affacciano amalgamandosi ad una prassi moderna, l’islandese viene mischiato ad una sorta di linguaggio fantastico, atto solamente al plasmarsi completamente alla sconfinata musicalità che abbatte confini territoriali, scalpita nella placenta a dimostrazione del forte desiderio di uscire.
    La triade iniziale è a dir poco splendida, il solo incipit del disco vale l’intero lavoro. “Starálfur” narra e descrive in modo naif una fuga dal mondo. La notte è blu sopra di noi, ripensiamo al giorno appena trascorso, c’infiliamo sotto le coperte quasi a nasconderci, a proteggerci, un elfo sbuca nel nostro immaginario di fronte a noi, si avvicina ma resta sempre fermo.
    Ci fissa.
    Ci osserva.
    Ma non si muove.
    Non ci sono più muri, barriere, difficoltà. Tutto appare limpido, la sezione di archi che accompagna l’elfo nel suo scrutare è semplicemente commovente, le parole si sprecano di fronte ad una musicalità così armonica.
    È come galleggiare nella placenta materna. La realtà è ben lontana e non ci può far male.
    L’atmosfera si appesantisce e s’incupisce allo scadere di Starálfur, “Flugufelsarinn” ci viene incontro trionfale, anticipando i fiati di “Ný Batterí”, brano evocativo e mistico, che arriva ad accennare persino elementi jazz.
    Ormai ci siamo dentro, non resta che farci coinvolgere dall’ambientazione quasi folk dell’inizio della sesta traccia: “Hjartað hamast”, brano che, arricchendosi sempre più, arriverà ad un culmine empatico, degno di captare il nostro battito cardiaco e di farlo suo. È qui che il disco si apre come un fiore artico che, nonostante il ghiaccio che lo ricopre, si ribella al freddo e continua la sua crescita inesorabile, bucando e straziando il terreno patinato di trasparente bianco.
    Torna poi la quiete, la quiete dopo la lacerante fuoriuscita dello stelo: “Viðrar Vel Til Loftárása” propone un dolce tappeto di piano che si sposa ad una sezione di archi e ad un basso sempre mesto e decorativo, per l’ennesima volta c’è armonia, c’è quiete e c’è un riverbero tremendamente bello, bello nel senso – stavolta – comune del termine.
    Olsen Olsen”, pezzo inizialmente più marcatamente (post) rock, ricca di fraseggi placidi ed echeggianti, rimanda ad una notte invernale, passata sotto ad un turbinio di fiocchi di neve, che scendono malinconici, infantili come il flauto contenuto nel brano.
    Trattenere le lacrime è impossibile, se esistesse qualcuno lassù, il suo nome sarebbe elfico e fatato, i suoi piedini piccoli e la sua voce sarebbe flebile e disincantata, pronta a venirci incontro ma a non ferirci mai. Se qualcuno ci guardasse veramente avrebbe occhi trasparenti e le sue mani farebbero scivolare un archetto dolcemente su di una chitarra, noi potremmo cantare come vengono cantati i cori finali di “Olsen Olsen”, ci sarebbero regali di natale sotto l’albero tutto l’anno e porteremmo sempre in grembo un feto con la testa grossa.
    Ma se questo qualcuno non esiste, la title-track invece sì. Esiste eccome.
    Ágætis Byrjun” mette in evidenza sonorità acustiche, dita che arpeggiano su chitarre calde, così calde da sembrare quasi affianco a noi, timidamente. I Sigur Ros continuano a cullarci, a non lasciarci mai, fino all’ultimo brano: “Avalon”, stavolta malinconico e cupo, quasi fosse un requiem atto a celebrare lo splendore di un album che ci lascia a bocca aperta per tutta la sua lunghezza.
    Le parole si sprecano, non volendo uscire dalla sua posizione fetale, l’embrione risiede lì, rannicchiato, a custodire un lavoro passionale e vivo fino al midollo.
    Una creatura che, una volta entrata in noi, non possiamo più cacciare.

     
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  2. Neuros
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    Non c'è niente da fare, questo ancora oggi è per me il loro capolavoro indiscusso.
    Se mi dovessero chiedere come sia l'Islanda, senza esserci comunque mai stato direi:
    Tieni, ascolta questo.
    No, non Bjork, mi dispiace per il folletto, che nonostante ciò storicamente è sempre più importante, ma in questo caso, secondo me "l'allievo" (virgolettato perchè le affinità tra i due artisti son poche) ha superato il maestro.
    Ogni qual volta parte Viðrar è un pianto, emozionante come poche altre canzoni, e quelle che si porta dietro fino ad arrivare ad Avalon rappresentano un finale che fa letteralmente paura.
    Sono come l'ipocentro di un terremoto, non le vedi ma le senti, dentro, nel profondo.
    La carezza di Olsen Olsen è figlia della mano dei Labradford, che ancora molti non conoscono ma sono i veri padri del combo islandese, così come Staralfur è una pioggia ghiacciata che scende e a sera si fa neve.
    Non è facile descrivere un album del genere, non è facile descrivere suoni che rasentano il silenzio, un plauso ad Anna che ci è risucita alla grande.
     
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    Una recensione davvero bellissima.


    Penso proprio che annet sia riuscita a darmi il colpo di grazia; prima per gli islandesi provavo non altro che pura curiosità, adesso sento il bisogno di ascoltarmeli per forza.
     
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  4. Cosa Che Non Esiste
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    non dite niente su flugufrelsarinn? è la mia preferita dei sigur ròs e uno dei miei pezzi preferiti in assoluto, quando l'ho sentita ho smesso di fare tutto ciò che stavo facendo...e ogni volta che la ascolto è come un'esperienza mistica, mi eleva al di fuori del mondo, sembra non finire mai ma quando finisce mi sembra sempre troppo presto...
     
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  5. Annet
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    Credo che sia un album con infinite sfumature, quindi alla fine ognuno recepisce come "sua" la tonalità più consona a lui.
    La mia preferita in assoluto è invece Staralfur. Mi lascia senza parole, mi sento un nulla di fronte a cotanto splendore.
     
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  6. Cosa Che Non Esiste
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    sì anche quella è stupenda, mi fa pensare più di tutte proprio ad un feto che deve ancora nascere...

    cmq la recensione è bellissima! non volevo assolutamente criticarla..solo che mi veniva proprio di parlare di quella canzone! ;)
     
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  7. Annet
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    Certo certo, non l'ho vista affatto come una critica, anzi!

    Ringrazio tutti per i complimenti :emo:
     
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    Mi hai rubato la rece, ma ti perdono perchè è veramente bellissima: complimenti, "ad effetto" come piace a me.

    Il disco è stupendo: poetico, emozionante, "pieno". Dalle mille sfumature. Ha ragione Neuros, se mi chiedessero come sia l'Islanda, quest'album sarebbe perfetto per descriverla. Però gli preferisco ( ), più completo forse.
     
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  9. Neuros
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    Lasciatemi () vi prego :emo:
     
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    Voglio diventare madre. :emo:

    A parte le battute infelici ( :emo: perchè non posso avere una bambina, e se il seno e la pèancia si ingrossano vuol dire che sono fortemente sovrappeso? Perchè l'unica vita che potrei ospitare è quella della tenia :emo: :emo: ), questo disco è personalmente il mio preferito dei Sigur, ma questo l'ho ripetuto fino alla nausea. Capacissimo di ascoltarlo anche 10 volte in una settimana, non mi stanca perchè è un'esperienza: non a caso i titoli mi sfuggono sempre perchè non leggo i testi, non guardo i loro video, nè foto promozionali e via dicendo. Li ascolto e mi perdo nei loro abissi verticali, nelle loro costruzioni ammantate di brina e dolcezza, nella pure a intima favola chiamata emozione. Si, è vero qualche somiglianza con Bjork c'è, ma lei è molto più elettronica e canta in maniera più internazionale, mentre i nostri lo fanno in islandese e si avvicinano più alle atmosfere sognanti dei pink floyd e dei radiohead (amnesiac, kid a, hail to the thieves) più atmosferici.



    Bellissima recensione, da brividi :wub: .
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    CITAZIONE (Neuros @ 7/11/2007, 16:38)
    Lasciatemi () vi prego :emo:

    Tutto tuo. Trattalo bene, però. :asd:
     
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    CITAZIONE (Alphadj @ 7/11/2007, 19:33)
    CITAZIONE (Neuros @ 7/11/2007, 16:38)
    Lasciatemi () vi prego :emo:

    Tutto tuo. Trattalo bene, però. :asd:

    sennò ti facciamo il ( )()( )

    :sisi: :supereffex: Dai, insieme al logo dei SunnO))), è il mio titolo preferito graficamente parlando.


    ( )

    :sisi:
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  13. Annet
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    CITAZIONE (Alphadj @ 7/11/2007, 15:55)
    Mi hai rubato la rece, ma ti perdono perchè è veramente bellissima: complimenti, "ad effetto" come piace a me.

    :abibu: questa doveva essere mia, ce l'ho troppo nel cuore Agaetis (tra un po' l'avrò pure sulla pancia :alienff: )
     
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    CITAZIONE (Annet @ 7/11/2007, 21:33)
    CITAZIONE (Alphadj @ 7/11/2007, 15:55)
    Mi hai rubato la rece, ma ti perdono perchè è veramente bellissima: complimenti, "ad effetto" come piace a me.

    :abibu: questa doveva essere mia, ce l'ho troppo nel cuore Agaetis (tra un po' l'avrò pure sulla pancia :alienff: )

    Adesso hai rubato pure ( ) a Simone, affari tuoi :effex:
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15 replies since 7/11/2007, 14:57   855 views
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