MOTORPSYCHO - Little Lucid Moments

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  1. JØHN
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    Motorpsycho, "Little Lucid Moments"


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    Anno: 2008

    Etichetta: Rune Grammofon

    Tracklist:
    Little Lucid Moments
    Year Zero (A Damage Report)
    She Left On The Sun Ship
    The Alchemyst


    Un album di riconciliazione
    Dopo un periodo di libera uscita dagli schemi motorpsychedelici, che aveva seminato perplessità e discordia tra i fans, durato da dopo Trust Us(1996) a Black Hole / Blank Canvas (2006), l'album del ritorno alla "durezza", che ugualmente non era stato capace di mettere d'accordo tutti e a qualcuno (a me no) era sembrato un passo indietro (o peggio ancora una rinuncia), finalmente nel maggio del 2008 esce il disco della riconciliazione, tutti d'accordo: capolavoro, i Motorpsycho sono tornati. Pure Scaruffi, che da sempre li ha considerati mediocri snobbandoli uscita dopo uscita, sembra aver cambiato idea, quando commenta dicendo che l’album è virtualmente un riassunto della musica rock orientata verso l’improvvisazione, dai Grateful Dead ai Pink Floyd dai Jefferson Airplane ai Traffic dai Wishbone Ash ai Quicksilver, e che questo, in due parole è il meglio che i Motorpsycho abbiano da offrire.

    Niente paura, niete astio, niente pietà, niente compromessi
    Questa è la scritta che campeggia all'interno della confezione del disco. Fondamentalmente il succo del discorso è questo, si tratta di un album spregiudicato, per farla breve, un album di canzoni spietate proprio perchè assolutamente prive di qualsiasi inibizione, senza paura i Motorpsycho offrono quattro suite dagli undici ai ventuno minuti. Nessun possibile singolo e nessuna pssibile scorciatoia al disco. Giusto l'essenza del loro indie rock psichedelico portato alle conseguenze estreme. Nessun pezzo diretto, ma tutte canzoni fortemente mediate da introduzioni pesanti e parti strumentali che racchiudono parentesi successive attorno a delle melodie, che a Scaruffi per esempio sono sembrate banali, non a torto forse, ma che sono il cuore dell'etica Motorpsychiana, visto che l'anima dei pezzi è sempre fondamentalmente pop, e dal 1996 lo è molto più di prima. Ora il divertimento è cercare di costruire attorno a un pezzo "banale" una suite, dotandolo di intro e di coda infiniti (Year Zero e The Alchemyst),o cercare la divagazione perfetta (She Left On The Sun Ship) traendo ispirazione dalla loro fecondissima dimensione live, che pare aver ispirato le nuove composizioni, prima ben digerite dalla band e fermentate in mesi e mesi di collaudo del motore psichedelico. I più attenti poi si renderanno conto che non è la prima volta che i MP fanno un disco (in studio) di suite (il secondo volume di Timoty's Monster era già su questa linea), ma forse questa è la prima volta che (a parte l'eccezione di She Left On The Sun Ship) abbiamo davanti a noi dei pezzi segmentati, tant'è che parlare di progressive (specie a la Yes) può anche avere un senso, almeno ora. I pezzi non sembrano godere di un libero flusso di suoni ed emozioni, ma sono un assemblamento di parti diverse, spesso moto distinguibili, sicuramente ben sfumate, e al cui interno per forza ci sono pezzi che sono di fatto dei flussi pressocchè incontrollabili e testardi anche di ripetizioni stancanti (She Left On The Sun Ship) ma fondamentalmente questo atteggiamento non esaurisce i pezzi ma li completa, in forme nel complesso molto razionalizzate. Quindi alla fine il compromesso c'è. Ok, la suite, ma non c'è una sola suite che sfugga via allo stato brado.
    La pecca in tutto questo è che la dove sembra che si voglia valorizzare l'impatto quasi "live" dei quattro pezzi che compongono il disco, la produzione sia così asettica e pulita. Sicuramente i suoni rendono bene, ma in Trust Us e Timoty's Monster i suoni erano più sfocati e misteriosi, sembravano venir fuori dal caos cosmico, anche senza ricorrere agli artifici del sapiente finale di She Left On The Sun Ship, che partendo da un inizio americanaccio passa per il medio oriente e poi parte per galassie lontane, che sembra davvero di sentire. Ma questo suona forse troppo freddo, anche se è un dovuto effetto collaterale ineliminabile, visto il grado di professionalità dei MP di oggi, che non possono fingere di non avere.

    Brevi lucidi momenti
    Little Lucid Moments è la suite che intitola il disco è quanto di più ambizioso i Motorpsycho abbiano mai potuto pensare. Almeno in studio. Questa vale tutto il disco, questo, e sarebbe stato lo stesso in qualsiasi altro album della band o di qualsiasi altro gruppo dalle stesse aspirazioni.
    Roadwork e In The Fishtank avevano puntato tutto sull'improvvisazione e focalizzato sul jazz, con risultati strepitosi. Qua il discorso è più lucido e organico. Abbiamo prima due pezzi di quattro minuti, molto semplici I) Lawned (Consciousness Causes Collapse) e II) A Hoof To The Head, separati da due minuti di pesantissimo vuoto / non vuoto Pinkfloydiano che suona ispiratissimo e intenso nel segnare il punto di flesso che c'è dopo il primo pezzo, languido ed estremamene melodico, uno psycho-pop che ricorda certe loro cose di metà anni novanta, essenziale ma con un forte senso onirico, sfumature country e qualche velleità stoner appianata da melodismo Beatlesiano, cantata dal frontman bassista Bent Saether, col suo strumento per ora leggermente adombrato dalla forte coesione di questo primo movimento, in cui del resto anche il chitarrista Hans Magnus Ryan propone un tema semplice e nel centro del pezzo un assolo sognante e pieno di emozione nella sua essenzialità. Ryan, dopo due minuti prende le redini del pezzo, con il movimento II) composto da lui e Bent, ma che segna in fin dei conti un considerevole spostamento del baricentro compositivo del gruppo, come vedremo più avanti.
    Il movimento I) era uno stato di quiescienza, di inerzia,di attesa immobile, che proponeva immagini come una città fantasma, e la presa di coscienza di essere stato messo in standby. Un pezzo introspettivo, molto intimo, proprio alla ricerca di quella "lucidità" di cui si parla nel titolo. Ma la nebbia (altra metafora del brano) ha bisogno di essere spazzata via, e qualcuno dovrà intervenire -recita Bent- per svegliarci, prima che tutti svaniamo (quel fade away che suggestiona qualsiasi persona abbia mai ascoltato Neil Young).
    Il movimento II) è la sua antitesi in un certo senso, o meglio, è l'atto che fa scattare tutto il brano: un Cecco Angiolieri moderno dice "io sono il turbine che ti raccoglie, ti sradico dal tuo sonno, io sono il caos, io brucio per lasciare la tua testa illuminata fottuta nella cenere". Inizia un nuovo tempo, nuova fase. Il cambio è sottolineato da Ryan che prende il microfono, col suo timbro molto diverso da quello di Saether, per guidare un pezzo di quattro minuti Zeppeliniani fin nel midollo, tiratissimi,che ricordano molto i pezzi di Barracuda, e così viene fuori tutta la creatività e il feeling del nuovo batterista Kenneth Kapstad, qua artefice di una prova strabiliante, poco tecnico e molto istintivo, lascia parlare le sue pelli per fare eco all'esaltazione e al superamento di cui nel testo. Scarni riffs si infrangono su un muro ritmico severissimo e rovente.
    III) Hallucifuge (Hyperrealistically Speaking...) inizia strettamente collegata alla precedente, la conseguenza di tutto un tesissimo crescendo di pathos, che esplode qua in una decina di minuti in cui tutti i tre musicisti, firmatari del brano, iniziano a sfilare in un'autentica orgia solistica, un po una sintesi di tutto rock psichedelico e progressivo che potete immaginare, non facile la parte cantata da Sheater, molto settantiana, immersa in un tripudio di solismi assordanti e spericolati. Ora soffusa, ora stonata di effetti e di eco, ora jazzata come nemmeno te l'aspetti. Non solo un tributo Grateful Dead / Yes ma molto di più, un intricato rincorrersi libero da qualsiasi forma, percorso da una sorta di gioia quasi "erotica", una canzone di amore estremo per la vita, che finalmente in questo tripudio di suoni coloratissimi, si dispiega, e si ha quel seppur piccolo momento di lucidità: "sono leggero come una piuma / tutte le pesantezze sono state spazzate via / il velo è stato sollevato / Il fuoco si è spostato". Il velo di Maya è stato tirato su ora, finalmente tutto è chiaro, e anche se per poco, si può gioire dell'estasi, e questa gioia è annunciata dalla chitarra acusica che apre il brevissimo finale di IV) Sweet Oblivion / Perfect Sense, un movimento tutto strumentale, acustico su cui si srotola un unico melodiosissimo assolo di chitarra. Ecco davanti a noi, epifanico, il manifestarsi del momento di lucidità.

    L'alchimia del viaggio
    Dopo la mastodontica suite, che è sia per le sue dimensioni, sia per la sua così varia e articolata portata, indiscutibile, il pezzo che più è suscettibile di essere preso in simpatia dall'ascoltatore è Year Zero (A Damage Report), che nonostante la sua durata (11 sostanziosi minuti) risulta il più melodico e abbordabile e si lascia bere tutto d'un fiato, come fosse acqua e zucchero. Innanzitutto perchè è un pezzo molto caldo, tutto cantato da Ryan, con due parti strumentali, una più piccola, che introduce il pezzo, metà soft jazz e metà post rock psichedelico a la Pelican, e una parte strumentale finale molto più lunga e più tradizionale in un certo senso, anche se comunque una commistione tra musica heavy e psichedelia estrema, come nei migliori momenti della carriera dei MP, più levigato rispetto ai primi vagiti Lobotomizzanti e più solido rispetto agli anni novanta, complice anche la poduzione e certe influenze di questi tempi non poi così impermeabili a queste sonorità (il che ha spronato molto il gruppo). Nel bel mezzo di queste due parti strumentali, una canzone molto leggera, tipico indie-pop-rock americano anche se in pratica suonato da dei norvegesi, molto Dinosaur Jr e con qualche passaggio noise-pop. In cui, continuo a dirlo, il nuovo acquisto alla batteria, fa una figura grandiosa, un un vero e proprio exploit trascinante fino alla fine. Sempre a proposito di noise, più sul noise è She Left On The Sun Ship che è la più dispersiva delle quattro, ma solo perchè è lasciata nella sua forma "live" molto dilatata, quando il nucleo fondamentale è poi una bella idea, ma alla quale bastavano pochi minutini ad esprimersi. Frustate di basso a la Jesus Lizard percuotono tutto il pezzo, forse la parte di basso che resta più impressa in tutto il disco, e un andamento melodico che sembra raga, specie che man mano che la canzone finisce per propagarsi inconcludente, nello spazio circostante. L'idea che si fa strada man mano, è che Snah Ryan si sia intagliato uno spazio molto più importante nella band (nel dualismo Snah-Bent), tant'è che le parti cantate da lui sono le più intense (vedi Year Zero che è composta dal solo Snah e il secondo movimento della title track), e le parti di Bent le più apatiche (in senso etimologico) pur nella sua ormai completa maturità di cantante. Tutta intestata a Bent Saether è invece la conclusiva The Alchemyst, la traccia meno coinvolgente dell'album, ma di sicuro quella che profuma di nuovo più delle altre. Innanzitutto è apprezzabile la lunga introduzione ambient-postrock, molto modaiola, ma non è un difetto, perchè il vero intento del pezzo è fare una sorta di excursus storico al contrario, da dilatazioni moderniste a una parte centrale prettamente primi anni novanta, una via di mezzo fatta molto bene tra Polvo e Sonic Youth, e infine una lunga cosa "motorizzata" a la Hawkwind che è tutto un tributo allo space rock anni 70 e proprio alla musica rock abbinata alla suggestione del motore e della tecnologia cinematica, che è un po il filo conduttore anche dell'opera degli stessi Motorpsycho.
    Nel complesso i brani colpiscono velocemente e in modo efficace solo per metà (la prima) e gli altri due pezzi richiedono una digestione molto più lunga per essere apprezzati, e in ogni caso restano episodi di gran lunga inferiori ai primi due, una aggiunta più che soddisfacente per un disco che esaurisce tutto il suo spessore e tutti i motivi per cui intende farsi ricordare, nella prima mezzora abbondante, che comunque è già la durata di un buon LP.



     
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  2. bentsnah
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    Che dire,come al solito hai fatto un lavoro grandioso...sei il neurochirurgo delle recensioni! :D
    Fondamentalmente d'accordo con te,a parte il fatto che a me The Alchemist piace assai,mentre tu la trovi più debole,ma ne avevamo gia parlato.Poi come dici tu,30 e più minuti sono tempo sufficiente per un bel disco.
    CITAZIONE
    L'idea che si fa strada man mano, è che Snah Ryan si sia intagliato uno spazio molto più importante nella band (nel dualismo Snah-Bent), tant'è che le parti cantate da lui sono le più intense (vedi Year Zero che è composta dal solo Snah e il secondo movimento della title track), e le parti di Bent le più apatiche (in senso etimologico) pur nella sua ormai completa maturità di cantante.

    Su questo mi trovi d'accordissimo,il solitamente apatico Snah,stavolta sembra molto più attivo,mentre il folletto Bent sembra cedergli spazio,secondo me anche volentieri.del resto loro due ormai vivono in simbiosi artistica perfetta,basta vedere quel che combinano dal vivo,a me a volte sembrano comunicare telepaticamente!
    Disco che sarà sicuramente tra i top dell'anno per quanto mi riguarda.
     
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    La pecca in tutto questo è che la dove sembra che si voglia valorizzare l'impatto quasi "live" dei quattro pezzi che compongono il disco, la produzione sia così asettica e pulita. Sicuramente i suoni rendono bene, ma in Trust Us e Timoty's Monster i suoni erano più sfocati e misteriosi, sembravano venir fuori dal caos cosmico

    ma anche i dischi più recenti avevano suoni migliori. Little Lucid Moments è stato molto "compresso", specialemente la voce di Bent, che suona controllata ed ingabbiata come non mai. Una novità per loro, onestamente io preferivo sentirlo più selvaggi, ma forse dovremmo iniziare tutti a pensare meno al sound e più al valore dei pezzi in sè...


    Sul pezzo Little Lucid Moments hai fatto un lavoro di interpretazione davvero grosso... Onestamente non ho mai dato troppo ascolto a quello che il pezzo voleva dire, però può essere un operazione interessante.
    Probabilmente mastichi l' inglese molto meglio di me :D


    D' accordo comunque sull' analisi dei prmi 3 pezzi, il terzo è sicuramente quello con i momenti di calo maggiori... Per fortuna in sede live non si notano troppo


    CITAZIONE
    L'idea che si fa strada man mano, è che Snah Ryan si sia intagliato uno spazio molto più importante nella band (nel dualismo Snah-Bent), tant'è che le parti cantate da lui sono le più intense (vedi Year Zero che è composta dal solo Snah e il secondo movimento della title track), e le parti di Bent le più apatiche (in senso etimologico) pur nella sua ormai completa maturità di cantante.

    osservazione giustissima... E anche nei concerti si ha questa sensazione, ovvero che Snah abbia più in mano le redini del gruppo, sia più voglioso.
    A Milano aveva cantato pure You Loose, un pezzo che su disco lo canta Bent, per esempio.
    Sebbene il compositore principe del gruppo sia ancora Bent, penso di non esagerare dicendo che questo è il disco dei MP più soggetto alla personalità di Snah


    CITAZIONE
    Tutta intestata a Bent Saether è invece la conclusiva The Alchemyst, la traccia meno coinvolgente dell'album, ma di sicuro quella che profuma di nuovo più delle altre.

    su questa canzone avevamo flammato parecchio al tempo :D personalmente posso dire che mi ha coinvolto quanto le prime 2, e che la considero al livello delle altre. difficile scegliere la mia preferita fra queste però


    CITAZIONE
    Nel complesso i brani colpiscono velocemente e in modo efficace solo per metà (la prima) e gli altri due pezzi richiedono una digestione molto più lunga per essere apprezzati, e in ogni caso restano episodi di gran lunga inferiori ai primi due, una aggiunta più che soddisfacente per un disco che esaurisce tutto il suo spessore e tutti i motivi per cui intende farsi ricordare, nella prima mezzora abbondante, che comunque è già la durata di un buon LP.

    non sono d' accordo, il disco è fra i più stabili che i MP abbiano mai fatto.
    Non se ne è parlato ma i MP hanno fatto un lavoro di selezione enorme per questo disco, perchè avevano pronte molte più canzoni ma hanno scelto soltanto le 4 più epiche. 10 anni fa avrebbero buttato dentro tutto, alti e bassi, magari facendo uscire 8 ep in 8 mesi chi lo sa :D

    Per fare un paragone, è decisamente più altalenante qualitativamente il secondo disco di Timothy's Monster che tutto Little Lucid Moments.

    Secondo me LLM è un disco da ascoltare tutto e tutto di fila
     
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  4. sabbathiana
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    :inchino: complimenti per l'analisi. Sembra che tu abbia fatto l'album a pezzi per poterlo descrivere così bene

    CITAZIONE (JØHN @ 6/10/2008, 16:06)
    finalmente nel maggio del 2008 esce il disco della riconciliazione, tutti d'accordo: capolavoro, i Motorpsycho sono tornati.

    Hai effettivamente ragione i Motorpsycho sembrano tornati indietro di 30 anni.


    la scelta delle 4 suite è quasi una prova di coraggio in un periodo in cui i magniloquenti poco rapiscono l'interesse.
    Little Lucid Moments, la title list, mi rapisce con la sua iniziale rullata (e non intendo :porra: ) e le chitarre che insieme formano un vortice quasi spazio/temporale. Il primo momento è spettacolare, una dimostrazione di talento, il secondo oltre alla creatività del batterista sono innamorata anche delle cavalcate del basso via via accellerate. hai effettivamente ragione ad affermare che si tratta" un pezzo di quattro minuti Zeppeliniani fin nel midollo".

    Year zero, mi baglierò io ma non lo trovo più abbordabile o invece si considerata che la gran parte della sua durata è vuota, ci sono molti pezzi che potrebbero essere eliminati. tutto sommato irresistibile la voce malinconica e gli intrecci di chitarra.
    i restanti due pezzi sono sicuramente meno di questi due. Basterebbero 2 parole per descrivere questo album: creativo e spassionato
     
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    CITAZIONE (sabbathiana @ 7/10/2008, 08:59)
    i restanti due pezzi sono sicuramente meno di questi due.

    perchè? percome? hai un fondo comune con Davide non solo di dischi ma anche di motivazioni? :D
     
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    Le recensioni per essere complete e interessanti devono avere due requisiti: devono descrivere il disco a chi non lo conosce e devono anche dire qualcosa di nuovo a coloro che il disco l'hanno già sentito. E come al solito, la recensione di John soddisfa entrambi i requisiti. Bravo, ma che te lo dico a fare? Da oggi in poi lo dò per scontato quando posto in risposta alle tue recensioni ;)

    Detto questo, concordo più o meno su tutto: uno Snah più presente che in passato, un suono molto più compresso e meno lo fi, più razionalità e meno irruenza.
    Niente di tutto questo può essere avvertito come un difetto: innanzitutto perchè Snah, che abitualmente è molto meno prolifico di Bent, è un signor compositore; in più, i Mpsycho c'hanno più di 40 anni, e con maturità si sono accorti che non si addice più alla loro età strillare come nei primi dischi o nel creare suoni "straccioni" come in Timothy's monster.
    La differenza qualitativa tra le prime 2 canzoni e le ultime due è sicuramente rilevante, ma non perchè queste ultime siano brutte, ma perchè le prime sono troppo belle.
    D'accordissimo con Seba quando ammira il lavoro di selezione operato dai Motorpsycho per quest'album, ennesimo segno della loro maturità, soprattutto in considerazione del fatto che il precedente BHBC invece era zeppo di riempitivi.
    E come Bentsnah, anch'io metto metaforicamente Little lucid moments tra i top dell'anno; ora come ora, si gioca la prima posizione con Eternal kingdom dei Cult of Luna, ma queste sono solo pippe mie :)
     
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5 replies since 6/10/2008, 15:06   422 views
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