MOTORPSYCHO - Child Of The Future

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    Motorpsycho, Child Of The Future

    Anno: 2009

    Etichetta: Srickman

    Side A
    1. The Ozzylot (Hidden In A Girl)
    2. Riding The Tiger
    3. Whole Lotta Diana

    Side B
    1. Cornucopia (...Or Satan, Uh... Something)
    2. Mr. Victim
    3. The Waiting Game
    4. Child Of The Future


    Voi cosa avete fatto per festeggiare i vostri vent'anni? Avete fatto una festa con gli amici? Una cena a lume di candela? O avete invitato a casa una stuoia di troie vestite in tubino nero, per mostrarle come siete bravi a cantare con il vostro chansonnier partenopeo di fiducia? E poniamo il caso che gli chansonnier foste proprio voi, non proprio quello chansonnier, degli altri, magari non napoletani, ma norvegesi. Magari non avete ne gli agganci giusti per trovarle le puttane, o non volete spendere 2000 euro a cranio per pagarle. A quel punto potreste fare come i Motorpsycho, che dalle terre scandinave, si dirigono in America e registrano, con l'aiuto di un americano di origine piemontese di nome Steve Albini, un disco che è il loro modo per festeggiare i vent'anni di attività.

    Iniziamo col dire che si tratta di un EP, e quale miglior modo di un EP, per festeggiare una carriera piena di soddisfazioni, se il gruppo in questione ha vissuto proprio sugli EP? Gli Ep sono stati un modo per sperimentare, provare qualcosa di nuovo e diverso, anticipare gli album, o suddividere gli album (che talvolta sono stati un collage di ep già usciti precedentemente) o completare gli album. Addirittura, in Barracuda, in poche canzoni, hanno concentrato ciò che in quel periodo, a loro non andava di fare negli album veri e propri, ossia pezzi hard rock secchi e diretti, con una spruzzata di rythm and blues. Insomma, gli EP come stile di vita, una valvola di sfogo, e un modo formidabile per festeggiare.
    Sapete bene che le feste, le ricorrenze, sono un modo per abbandonarsi ai ricordi, alle storie ci si vuole raccontare. Facile allora, sarebbe stato fare 40 minuti (perchè l'EP in question dura ben 40 minuti, si può fare un album con molto meno) di summa della loro carriera, e in questo modo autocelebrarsi. E invece i Motorpsycho scelgono la strada dell'album di famiglia, sfogliando le foto della di qualche loro antenato a loro molto caro e che li ha ispirati, e non delle loro foto di quando erano piccoli. Un piccolo tributo insomma. Mostrano così la loro dedizione verso la famiglia Led Zeppelin: zia Robertina Plantina, zia Pagina, zia Bonina (la buonanima... lo zio la piange ancora) e zia Giovanna Paolina Gionsina (tre nomi aveva, zia nobile). Dalla parte del papà ci sono la cugina Andersella, zia Cristina, zio Sitvo, cugino Billi il Brufoloso e un altro cugino un po invertito, non per niente lo chiamavano il Rickione Svegliauomini, ossia la famiglia preferita dai Motorpsycho, perchè qualsiasi cosa gli chiedessero, questi rispondevano: Yes.
    Non sono i loro parenti più stretti forse, non saranno quelli che hanno ispirato maggiormente le loro vite, non saranno cari come la mamma ed il papà, ma a questo giro va così, volevano palrare porprio di loro, non chiedetemi perchè.

    Una occasione speciale, per persone speciali, non certo per tutti. Non si preccupano i tre musicisti norvegesi, se per caso questo dischetto non arriverà (legalmente) a tutti i loro fan sparsi per il globo, perchè a loro il numero non interessa, e infatti pubblicano il tutto solo e soltanto in un curatissimo vinile bianco da 180 grammi. Roba per pochi intimi, roba da ascoltare a casa, davanti al proprio giradischi, compiendo il solito rituale del braccino e dell'ago, mentre tutti gli altri vendono l'anima al diavolo (e un po si svendono, diciamolo) per digitalizzare e rendere sempre più cool e fiche le vendite delle canzoni, trasformate sempre più spesso in roba dematerializzata e eterea, slegata da un concept come anche slegata da qualsiasi tipo di supporto. Controtendenza totale quella dei Motorpsycho che, in un momento in cui si è facili perdersi nelle suite e nella psichedelia (che tutte le teste si porta via), rilasciano un album di pezzi che danno poco spazio ai trip (loro, i Motorpsycho, che coi trip hanno mangiato 20 anni). Per restare vivi sconfiggono la morte, sconfiggono la tentazione del digitale, e sfidano tutti, con un album solo in vinile. Beccatevi questo.

    Un album di famiglia, dove le foto prendono vita in canzoni che non sembrano neanche poi così vecchie, anzi, raccontano senza perdersi in chiacchiere, un po di ricordi di tempi andati, ma nel farlo, non si preoccupano di rimanere proprio fedelissimi ai alle storie originali: dicono ciò che interessa dire al buon Bent Saether che, per usare una metafora da talk show, fa il moderatore del dibattito, introduce i temi, guida i discorsi, con il suo basso che, come un tempo, fa da struttura portante dei pezzi, sengando ogni minimo cambiamento di direzione e di discussione, e vi assicuro che ce ne sono di divagazioni e fantasiose storielle di famiglia da raccontare, con agilità si cambia registro, si cambia il ritmo nel racconto, si aprono finestre su finestre, per poi tornare al discorso di partenza, con abilità e capacità di sintesi e di racconto in modo organico, ed il buon Bent (autore o coautore di tutti i brani) è ben attento a mettere tutto il suo vigore nel voltare ogni singola pagina dell'album fotografico, con il suo strumento, pompato come non lo era da un po. Nel brano che titola il disco, si sente proprio che zia Andersella ha lasciato molto della sua eredità alle melodie del nipotino, e in come canta, sembra quasi di risentirla cantare le sue epiche canzoni in quel falsetto che falsetto non era.
    Hans Magnus Ryan, con la sua chitarra, intrattiene gli ospiti, sparandole grosse, si sa, ha una grande fantasia, allora ne tira fuori di tutti i colori, e qua ricorda quei due zii chitarristi di cui sopra, nella loro capacità di unire folk, blues e rock, come se nulla fosse, così americanacci nelle sonorità, anche se a pensarci bene, americani non erano, erano inglesi, come del resto pure Hans che è norvegese (anche se si spacciava bene un agreste americano in The Tussler 1994 e 2004) e lo stesso Albini. Ma c'è qualcuno che sia davvero americano qua? L'avevo detto che sparava palle il caro Hans Ryan. Ogni tanto si finge pure indiano, per introdurre una canzone ("Riding The Tiger"), ma questo lo facevano anche gli zii, però devo dire che ogni racconto non è mai come l'originale, non c'è una gran fedeltà, e questo pallonista distorce spesso la realtà dei fatti, dando alle vicende di famiglia una impronta personale, ed è giusto la scusa per ricordare (sempre in quella canzone "felina") un po di fasti che so, di Blissard, che in fatto di picchiare nella psiche, non aveva nulla da invidiare agli zii. Ma il racconto scorre veloce, non c'è tempo per abbandonarsi alla nostalgia, si corre, tutto si distrugge con la forza centrifuga di belve impazzite, ben impressa nei solchi del disco da Steve Albini, noto per le sue capacità di lasciare libere le band e liberi i suoni, di sbattere sul disco, senza essere mai addolciti, corretti o arrotondati. Non siamo a L'albero azzurro. Ed anche se la band è libera, non è una Azzurra Libertà, quindi non sono prioprio eccessivi e menefreghisti, non pensano di essere signori e padroni delle orecchie altrui, e riducono il loro ego eliminando, come fecero in Barracuda, ogni divagazione psichedelica (a meno che non si voglia ritenere tale quella gioiosa jam che esplode nei 9 minuti di "Whole Lotta Diana"), eliminano ogni traccia noise, ogni ricorso agli archi e compagnia bella, anche se il cugino Rickione e famiglia non approverebbe. I pezzi suonano asciutti, ed i riff sembrano ricordare... chi? Non ricordo chi... ah, si, Chi! Ma questa è un'altra famiglia, ma per ora lasciamoli investigare sulle loro scene del crimine.
    Tra un pezzo e l'altro si improvvisa qualcosa, un intro jazz qua, un po di piano la (in "Cornucopia"), tanto per fare da cuscinetto tra una carica e l'altra, ma niente che tolga alle canzoni la loro crudezza e purezza quasi ingenua, tipica del fan che vuole tributare qualcuno, ma lo fa con il consueto estro, e meno autoreferenzialità del solito (certo era molto più autocelebrativo Little Lucid Moments, se vogliamo dirla tutta). Il risultato è un pezzo (come "Cornucopia") dove il basso e la batteria del nuovo arrivato Kenneth Kapstad (è arrivato da un po, ma resterà sempre il nuovo arrivato anche se qua è coautore della canzone conclusiva) incastonano colpi ben studiati, tra un assolo e l'altro di Ryan, e tra una nota e l'altra di piano, proprio per rendere il pezzo come una anguilla, viscida, grigia, color petrolio,e scalcitante tra le mani, praticamente impossibile da domare. Alcune storie, si possono raccontare solo in due (e torniamo a sentire insieme le voci di Bent e Hans in "Mr Victim"), mentre le loro corde lasciano passare suoni strazianti, più di quanto si possa immaginare, con una tale dose di cattiveria e grezzume, che non li si sentiva così dai tempi di Lobotomizer, praticamente dall'inizio di tutta la storia, e in questo modo il cerchio si chiude, scende la classica lacrimuccia, per la commozione, e ci arruffianiamo facilmente i presenti, con un pezzo di sola chitarra acustica e voce di Bent, una triste ballata slavata tipo la clonclusione in punta di alluci che ci lasciava dopo quella meraviglia intitolata Blissard. Ma qua non sono così crudeli, e non ci lasciano in questo modo, c'è ancora spazio, in questo EP, per un'ultima accesa corsa contro il tempo per rendere impellente e irresistibile roba sepolta da trenta-quarantanni, sarà per questo forse, che Bent scava così in basso col suo strumento, che sembra voglia grattare la terra e scoperchiare qualche tomba. Sarà il loro modo di festeggiare il tempo che passa, o di esorcizzare la morte, scavando nel profondo per non sprofondare mai (e magari per non finire smaterializzati o zippati o trasformati in una merdosa risponderia*).


    *Fate una prova: mettete "Child Of The Future" come suoneria o risponderia del vostro cellulare, tra basso distorto di Bent, produzione appestata di Albini e passaggio vinile-mp3, sentirete davvero una merda nelle orecchie.

    Edited by The Fisherman - 18/10/2009, 23:41
     
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    fenomenologo da quattro soldi
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    recensione nel vecchio stile, alla "John" :D
    hai parlato di famiglia per quanto riguarda le influenze, secondo me bisogna parlare apertamente di famiglia per quanto riguarda gli ascoltatori.. io ho l' impressione che loro vedano noi appassionati della loro musica un po' così. Per questo hanno fatto un disco che difficilmente può essere apprezzato a chi non è "della famiglia". Un po' come i quadretti di famiglia con tutte le fotine dei parenti che nel complesso sembrano squallidi ma alla fine ti fanno tenerezza se ci sei di mezzo.

    Come ho già detto a me piace molto la parte "centrale", chiamamola così, ovvero il trittico Whole Lotta Diana, Cornucopia, Mr. Victim.
    Dando per assodato che queste sono solo delle outtakes che hanno ripescato, visto che le hanno registrate in 3 giorni in studio in america dopo 4 mesi dall' uscita di Little Lucid Moments, direi che diversi pezzi risalgono al periodo fra quest' ultimo e Black Hole / Black Canvas, periodo in cui hanno omaggiato parecchio il rock più pesante con cui sono cresciuti (mentre nei dischi precedenti avevano omaggiato più il pop e la psichedelia). Di sicuro i due dischi contenevano pezzi migliori, e idee migliori.


    Non sapevo che fosse un EP, un po' ovunque mi è stato descritto come LP. Mi piacerebbe poterlo ascoltare originale in vinile ma non ho il giradischi :D


    Davide tu l' hai visto il DVD "Haircuts"? Secondo me è molto più "commevente" di questo per chi li conosce bene... e poi c'è un sacco di materiale.
     
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    Eh, se solo l'avessi trovato, l'avrei visto più che volentieri!
     
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2 replies since 17/10/2009, 17:17   187 views
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