MOTORPSYCHO - It's A Love Cult

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    Motorpsycho - "It's A Love Cult"

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    anno: 2002

    etichetta: stickman

    tracklist:
    1. Uberwagner
    2. Circles
    3. Neverland
    4. This Otherness
    5. Carousel
    6. What If...
    7. The Mirror & The Lie
    8. Serpentine
    9. One More Daemon
    10. Composite Head




    Da dove vengono? Chi sono?

    Vengono dalla Norvegia. E da un botto di anni di successi, psicoviaggi e disconi psiconautici che resteranno scolpiti nella storia e nella memoria, come i leggendari “Blissard”, “Angels And Demons At Play”, “Timothy’s Monster” e “Trust Us”. Precursori e propulsori di diversi filoni rock (stoner, emo, alternative anni 90 in generale) e della particolare interpretazione del rock psichedelico in una forma attuale, a tratti estrema, coniugando la ripresa delle sonorità settantine con un gusto tutto nuovo e al passo coi tempi, molto noise, in una “maniera” che sarà spesso copiata, fino a influenzare proprio tutto il mood europeo nell’esprimersi in certe forme musicali.
    Loro sono: Bent Saether, in quest’album incredibilmente maturato a livello tecnico-canoro, molto melodico, più “adulto” sicuramente, ma pure estremamente emotivo e pieno di sentimento; come bassista perde un po quel ruolo di propulsore-trascinatore, perché fondamentalmente mancano quei ritmi strappapalle e quei giri stomachevoli presenti nella prima parte della carriera dei MP; Snah Ryan, ridotto al minimo della sua espansività, almeno dal punto di vista della pesantezza, visto che comunque è ben presente e raffinato più del solito, anche lui è cresciuto e almeno in questo momento predilige la forma acustica, leggera, a volte leggermente sofisticata, ma sempre meno rispetto al recente passato (penso a “Let Them Eat Cake”, album per certi versi barocco); alla batteria c'è un posto-fantasma, più che un membro della band, un muisicista che in questo album compie solo una specie di concorso esterno, o una associazione in partecipazione, insomma, presto lascerà la band, e qua si capisce il motivo.

    Puzza di bruciato

    Chi sa leggere tra le righe, sente già puzza di bruciato… ha già capito dove sta il problema principale, nonché da sempre causa dei grandi problemi e critiche vertenti su IT’S A LOVE CULT , ossia in parole povere, il suo essere così morbido e poco incisivo, troppo maturo, troppo poco cattivo, troppo poco (anzi, affatto) psichedelico, e per una band che ha la radice “Psycho” nella sua ragione sociale, non sarebbe proprio il massimo, se non fosse che questo IT’S A LOVE CULT è bellissimo. Per questo secondo me sarebbe da rivalutare, anche in relazione ad episodi acclamati all’unanimità, come “Timothy’s Monster”. Con l’esperienza e con l’inevitabile maturazione, i pezzi si sono raffinati sempre più. Ciò non significa che IT’S A LOVE CULT sia il più completo tra gli album dei MP, ma solo che è in qualche modo il risultato ultimo e più compiuto, di un processo che inizia da lontano, e che vede una band alle prese con esperimenti folk, acustici, sempre più ariosi e rasentanti il sinfonico. Ora c’è una nuova consapevolezza e una nuova voglia di comunicare, in modo diverso e anche messaggi diversi.
    Lo stile dei MP in questo disco è molto semplice, essendo questo il loro episodio più diretto, siamo in presenza di un mix di rock moderno e acido e atmosfere anni 60 (il vero filo conduttore dei 10 pezzi dell’album), che vanno dal country al surf.
    Allo stesso tempo non ci sono esemplari simili nel panorama rock contemporaneo; precedenti storici li troviamo in “Phisycal Graffiti” dei Led Zeppelin, sia come sonorità, sia come filosofia di fondo, che poi scopriremo man mano più avanti.
    Un disco tranquillo, che procede molto lentamente e con una certa aria di sicurezza tipica delle band già ben affermate che ormai hanno avuto tutto, cosa che secondo alcuni può essere un peccato mortale, quindi chiaramente a questi non si può che sconsigliare il disco, e infatti giustamente loro avvertiranno un puzza di bruciato. Io l’album in questione lo consiglierei senza problemi ad un pubblico praticamente senza confini, dal nostalgico dei Beatles a chi oggi scopre i Queens Of The Stone Age, con l’avvertenza che i MP sono un episodio sui generis, che non pretende ne di essere etichettato, ne di essere inserito in un movimento, perché i MP creano i movimenti e non li seguono, gettano il sassolino e poi ritraggono la mano, e addirittura poi hanno tanto coraggio da intraprendere nuove strade tutte diverse da quelle per cui si fanno ricordare.

    Le canzoni

    Le canzoni sono il punto di forza di IT’S A LOVE CULT, mentre in passato veniva a volte prima il concept e l’effetto d’insieme dato dall’accostamento di episodi a volte complementari.
    “Uberwagner” consiste in un crescendo c’archi, protagonisti nel finale, che fa da coprotagonista di un pezzo a metà tra Pixies e Beatles, tra cori, versi emozionanti, cantati con evidente commozione e chiaramente uno Snah solista che non è altro che il completamento di quello che Bent con la voce non arriva a dire, perché l’emozione a un certo punto blocca la bocca, e c’è solo spazio alla chitarra, spontanea, emotiva, una estensione del calore dei versi del brano, piu che un orpello decorativo appoggiato solo per ostentare tecnica, come già facevano i maestri Dinosaur Jr, dove la chitarra andava in luoghi dove la voce non riusciva a spingersi.
    “Circles” è un episodio acustico, semplice e diretto, parte come un sussurro fatto da chitarra e voce, che ricorda Cohen ma che contiene a sua volta qualche spunto orchestrale, prima minimo e solo di contorno, poi sempre più abbondante; anche questo pezzo è un crescendo di tensione e di pathos.
    “Neverland” è il primo pezzo un po movimentato, divertente, con un bel ritmo, e Saether che torna a rendersi riconoscibile, con un giro di basso a dir poco sussultorio, da manuale, semplice come sempre, ma piacevolmente e dolcemente grezzo. Per il resto, fuzz guitar, organetto, batteria inalzante… tutti gli elementi chiave per una vera e propria festa in costume anni 60, visto che qua siamo nel pieno della ripresa di tali sonorità, tanto che sembra di ascoltare la soundtrack di un film di spionaggio. Un pezzo colorato e sprizzante dinamismo.
    “The Otherness” sa di chansonnier anni 60, un esempio di musica leggera per definizione, derivante dalla distensione massima di una struttura soft jazz, proprio come facevano i cantanti di quegli anni (da notare anche i coretti femminili). Se non fosse che il pezzo non si apre mai alla melodia facile, è lungo, con un Sheater in una delle sue prestazioni migliori di sempre, accompagnato da uno Snah con emozioni a fior di pelle, per una parte solista blues molto lenta, che ricorda Neil Young di On The Beach, come del resto “Carousel”, dove troviamo una lunga introduzione di chitarra acustica, che prelude un’altra pioggia di sensazioni toccanti. Anche qua si inserisce il violino, e si apre il brano, delicato, colorato anche questo da tinte pastello, tutte lievi e minimal anche nella loro decorazione non di certo lasciata al caso, perché nulla in questo disco è lontanamente lasciato al caso o all’istinto, anche una ballad come questa è territorio di incontro di musica leggera, musica folk, classicismi e modernismi, se così si possono definire quelli del finale, che mi ricorda fortemente i Led Zeppelin di Physical Graffiti, dove l’anima rock e l’anima orchestrale si esaltano e si amalgamano nella loro forma più perfetta, deviando insieme dalla struttura del pezzo.
    Carino l’esperimento di “What If…”, un divertente pezzo country in cui si inserisce, inaspettata, una tromba. “The Mirror And The Lie” invece sembra un tributo agli ultimi Anatema, almeno per metà, prima che tutto, ancora una volta finisca in una coda, a uso e consumo della solita orchestrina.
    “Serpentine”, leggermente più elettrica, mi ricorda un pezzo di Gino Paoli, solo più accelerato, anche qua, in un pezzo più propriamente rock e più adrenalinico, è facile vedere come le atmosfere si diluiscano, si disfino, anche nei momenti di jam più o meno libera (molto meno che in passato).
    In conclusione abbiamo due pezzi nervosi ed egualmente pieni di brio: “Cruster’s Last Stand (One More Daemon)” e “Composite Head”, entrambi assolutamente sixties, entrambi dotati di quel sottile alone psichedelico che nel resto del disco è praticamente assente, e allo stesso tempo così easy listening che sanno di sigle tv, magari di qualche vecchio telefilm che ogni tanto ritrasmettono d’estate, quando tutto si ricicla e si raschia il barile. Tutto si può dire di quest’album, tranne che è una operazione di riciclaggio; potete sentirci tutta la puzza di bruciato che volete, potete fare una scelta e optare verso gli album dei MP anni 90, ma guai a ridurre questo ad un puro e semplice momento pop della psicodiscofrafia, perché è molto di più. Ascoltare per credere.

    lo psychoviaggio prosegue qua... BHBC (dove non sentirete più puzza di bruciato, perchè i MP tornano a suonare toshtisssimo)

    Edited by JØHN - 16/11/2007, 09:17
     
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    penso di aver scritto l'unica recensione "positiva" su questo cd aha
     
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    Too lazy to be scared
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    Hai fatto bene, spesso viene ingiustamente sottovalutato. E' un album molto pop ma 1) questo non è un delitto in assoluto 2) se le canzoni sono belle ogni critica negativa diventa abbastanza sterile. E nel caso di canzoni belle ce n'è a iosa: Carousel, innanzitutto, che io adoro (il suo crescendo è MICIDIALE), Uberwagner che conserva ben più di una traccia della psichedelia soft degli anni 60 e 70, The Mirror And The Lie (che hai descritto benissimo, bravo John). In più c'è un trittico "bubblegum" pop che se non si è prevenuti non si può non apprezzare: Serpentine, che sembra un pezzo dei Beatles cantato dai Devo, la zuccherosa Neverland e la burlonissima Composite head, dove i richiami ai fab four sono talmente palesi da diventare quasi irrispettosi :)
     
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  4. JØHN
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    ora ho corretto il nome di bent saether. è stata dura ahah
     
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    fenomenologo da quattro soldi
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    non sono ancora arrivato all' ultimo periodo dei Motorpsycho. sono in fissa con i loro dischi pazzeschi degli anni 90, quando sarà il momento giusto ascolterò pure questo
     
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4 replies since 16/11/2007, 01:37   353 views
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