SIGUR ROS - Takk...

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    SIGUR ROS - Takk...
    2005
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    Takk... ("Grazie...") ha un compito difficile, ovvero quello di bissare il successo del precedente ( ), che ha più volte indotto i critici ad utilizzare il termine "capolavoro", cosa che non accadeva da diverso tempo in ambito Pop. Anche se è riduttivo parlare di Pop in questi casi: potrebbe invece non essere fuori luogo il termine "arte", vista la complessità, sia a livello compositivo che a livello lirico, che sono capaci di dare i Sigur Ròs ai loro lavori. Testi che, dopo la parentesi in "hopelandic" di ( ), tornano ad essere scritti in islandese, fatta eccezione per alcuni passaggi. Le liriche, quindi, sono nuovamente parte intergrante della musica di Jònsi Birgisson e compagni, assieme anche al ritorno di veri e propri titoli per le canzoni. L'artwork ci trasporta, ancora prima di mettere il disco nello stereo, nei paesaggi incredibili che saranno poi la vera linea conduttrice di tutti i pezzi di Takk..., un disco sognante ma più ragionato rispetto a ( ); non solo, anche i toni sembrano più distesi: se nel lavoro precedente a farla da padrone era la malinconia, a partire proprio dall'artwork, in Takk... si riscontrano sensazioni differenti, poichè non è più soltanto l'inverno ad essere "disegnato" attraverso la musica, ma iniziano a farsi strada anche suoni più primaverili, che donano quindi un tocco finale di speranza al lavoro, forse anche più presente della malinconia.
    Prima dell'uscita del disco, i timori da parte di pubblico e critica specializzata erano tanti: è opinione diffusa quella secondo cui una band che passa ad una major, uscendo di fatto dal circuito underground, possa arrivare ad una banalizzazione della propria musica, commercializzandosi, per via delle grandi aspettative che vengono riposte in essa a livello di mercato. Effettivamente c'era qualche timore anche da parte mia, che seguo i Sigur Ròs sin dal loro esordio. Tuttavia, questa mia passione mi aveva portato a fidarmi di Jònsi, personaggio tanto strano quanto incredibilmente carismatico: magari non volutamente, ma attraverso le sue opere ci ha fatto provare così tante emozioni, che è lecito aspettarsi sempre il meglio da lui. Così i nostri si sono impegnati a fondo nella realizzazione di questo nuovo lavoro. Nel corso di tre anni, passati a suonare in giro per il mondo, hanno scritto le undici canzoni che compongono questo Takk..., proponendone peraltro alcune, in anteprima e in versioni non definitive, nei loro concerti.
    Dopo la title-track, perfetta opener in stile Sigur Ròs, si passa subito al primo singolo estratto da Takk...: trattasi di Glosoli, che narra la storia di un bambino che si risveglia nell'oscurità e, colto dal timore per l'improvvisa scomparsa del sole, parte alla sua ricerca; lo ritroverà lì, in cielo, dove è sempre stato. Questo è probabilmente il pezzo che richiama maggiormente i vecchi lavori del gruppo (che, tra l'altro, viene ancora supportato dal quartetto d'archi Amina): il tipico pathos che ci porta a provare smarrimento e disperazione, che dipinge paesaggi invernali dall'atmosfera magica e incantata, per poi aiutarci a ritrovare la speranza, quel forte sentimento che domina tutto il disco. Così, come il bambino finalmente ritrova il sole, noi ritroviamo la speranza. Nel finale della canzone torna la quiete, come se finalmente si spegnessero tutte le nostre preoccupazioni. A destarci ci pensa Hoppìpolla, filastrocca tanto semplice quanto geniale nella sua emotività, accompagnata da ariose aperture orchestrali. Il coro leggiadro di Med Blodnasìr ricorda per certi versi Agaetis Byrjun, mentre Sè Lest è la più propriamente folk dell'intero lavoro, arricchita nel finale da un inserto di fiati davvero ottimo. Saeglòpur è un pezzo romanticissimo che, attraverso il suo lento crescendo, ci porta a visitare immobili paesaggi nordici, per poi dissolversi nel finale, proprio come la precedente. L'intro di pianoforte è, probabilmente, il più riuscito dell'intero lavoro. Milanò, che era già stata proposta in vari concerti del gruppo, seppur con nette variazioni, risulta forse un po' prolissa, ma non per questo noiosa: questa volta veniamo avvolti da una sensazione molto romantica, grazie al cantato intimista di Birgisson, uno dei punti forti dell'album. Un paio di repentine impennate armoniche ci riportano, a tratti, nella realtà. Gong, anch'essa già suonata in varie date live, è la più diretta, nonchè la più ritmata, e potrebbe tranquillamente trovar posto nell'esordio della band. Andvari è un altro magnifico episodio: eterea, pacata ed intimista, dominata dagli archi, fa da preludio, assieme a Svohljòtt (psichedelica con richiami alla Pink Floyd), alla conclusiva Heysatàn: una vera e propria - dolcissima ed emozionante - ninnananna. Dopo le tante tempeste emozionali che ci hanno travolto nei pezzi precedenti, Heysatàn sembra essere l'unico momento di quiete, la "quiete dopo la tempesta", appunto, come si suol dire. Il cantato davvero sofferto ci coinvolge e ci porta verso un finale dilatato che ci lascia in sospeso, a bocca aperta.
    In sostanza, Takk... può essere considerato la summa del percorso musicale intrapreso dai Sigur Ròs sin dagli esordi, ovvero la sperimentazione mai fine a sè stessa, ma volta a far provare emozioni sempre nuove all'ascoltatore. Jònsi Birgisson e compagni, quindi, in questo caso non si sono ripetuti come si temeva, ma si sono evoluti notevolmente, almeno rispetto a ( ). Come già spiegato in precedenza, la malinconia e la tristezza del capolavoro, datato 2002, non sono state del tutto rimpiazzate, anzi, hanno ancora un ruolo importante, ma sono state affiancate a sentimenti di speranza e, a tratti, anche di allegria: se dovessimo dunque fare un paragone con le stagioni, direi che ( ) sia accostabile pienamente all'inverno, mentre Takk... alla primavera. La musica dei Sigur Ròs, insomma, riesce ancora una volta a "toccare corde profonde dell'anima", come disse lo stesso Jònsi. Takk... rimane un gradino sotto ( ), forse il vero capolavoro della band, ma risulta, ancora una volta, magico ed emozionante.


    Takk
    Glòsoli
    Hoppìpolla
    Med Blodnasìr
    Sè Lest
    Saeglòpur
    Milanò
    Gong
    Andvari
    Svo Hljòtt
    Heysatàn
     
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  2. Neuros
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    Strano ma vero, ma quest'album, a distanza di due anni, ancora fatica a piacermi.
    All'uscita più che non piacermi, lo schifavo proprio, e ancora oggi con il senno di poi lo ritengo il punto più debole della loro straordinaria discografia.
    Pezzi validi ce ne sono, Sè Lest, Med Blodnasìr, Andvari, ma in tutto il disco ci sento un alone di incompiutezza, ha dei cali di attenzioni paurosi, cosa che nei precedenti non accadeva.
    Ma siccome nulla è scontato, con il tempo riuscirò ad apprezzarlo, chissà, e me lo riascolto grazie alla bellissima rece, non è facile recensire suoni che spesso si avvicinano al silenzio.
     
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    Per me, dopo Milano il disco si stabilizza e non mi da sensazioni nuove.
    Troppo statico e, come dici tu, prolisso.
    La prima parte è molto evocativa e trascina l'anima, poi si perde e non da cambiamenti interiori..
    L'intro è qualcosa di fenomenale...se andasse avanti così il disco, io parlerei di capolavoro..

    Gran bella recensione Alfio ;)
     
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    Io li conosco pochissimo, avevo provato ad ascoltarli tantissimo tempo fa ma li avevo lasciati perdere subito, forse è l'ora che li riprenda visto che anche il periodo è quello buono, proverò a partire da questo ispirato dalla tua recensione sexy :wub:
     
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3 replies since 28/10/2007, 09:28   219 views
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