FABRIZIO DE ANDRE' - Creuza De Ma

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  1. Norvegese
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    FABRIZIO DE ANDRE' - CREUZA DE MA


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    1984

    Crêuza de mä - 6:16
    Jamin-a - 4:52
    Sidún - 6:25
    Sinàn Capudàn Pascià - 5:32
    Â pittima - 3:43
    Â duménega - 3:40
    D'ä mê riva - 3:04


    Prologo
    1981, Castello di Carimate: è qui che ha luogo un altro degli incontri fondamentali che hanno costellato la carriera di De Andrè. Faber sta lavorando all'Indiano. Nello studio attiguo Mauro Pagani, ex PFM, compone le musiche per "Storia di una Notte d'Estate" di Gabriele Salvatores. L'incontro è decisivo. Già dagli anni '60 artisti come De Andrè e Tenco si dibattevano sulle capacità di inglesi e americani di attingere ai propri repertori tradizionali, inoltre Fabrizio aveva sempre intuito la forza e la musicalità del dialetto. A dare ulteriore forza a De Andrè fu proprio l'incontro con Pagani, che già da alcuni anni si era completamente immerso nello studio della musica mediterranea.

    Bacàn da còrda, màrsa d'ægoa e de sâ,
    ch'a ne lîga e a ne pòrta 'nte 'na crêuza de mâ
    (1)
    Ciò che ha portato alla nascita di "Creuza de Ma" è stato quindi un incontro al punto giusto nel momento giusto tra un Faber pronto a imboccare sentieri sconosciuti e un Pagani maturo per tradurre in canzoni e melodie le suggestioni che entrambi gli artisti sentivano. Quello che è venuto fuori è stato definito il primo album italiano di World Music, ma a mio parere vanno doverosamente citati gli artisti che avevano anticipato il duo negli intenti, tra cui la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Il Canzoniere del Lazio e i Carnascialia. L'uso del dialetto non era neanche una novità per De Andrè, che ne aveva già fatto uso in brani come "Zirichiltaggia" e nel ritornello di "Avventura a Durango". Ma fino ad ora si era trattato solo di casi isolati, mentre "Creuza de Ma" segna uno spartiacque nella carriera di Faber, che partendo da questo album e continuando con "Le Nuvole" e "Anime Salve", non abbandonerà più le atmosfere esotiche e il crogiuolo di culture che si cela dietro queste canzoni. L'album avrà un inaspettato (per ammissione degli interessati) successo, e darà ulteriore slancio a tante altre band che hanno fatto dell'uso del dialetto il loro punto di forza. Nel 1989 "Creuza de Ma" verrà premiato come miglior disco del decennio da un referendum indetto dalla rivista "Musica & Dischi".

    Il disco, nelle intenzioni iniziali, sarebbe stato cantato in una lingua inventata, un misto di idiomi diversi del bacino del Mediterraneo. In seguito la scelta cadde sul dialetto genovese, una lingua già ricca di per sè di influssi arabi e greci.
    Il prologo ci trasporta già in un'altra dimensione: una gaia macedone (sorta di cornamusa) apre "Creuza de Ma" (Viottolo di Mare), capolavoro nel capolavoro e uno punti più alti toccati sia da De Andrè che dalla musica italiana tutta. Il bouzouki e la viola elettrica descrivono una melodia dolcissima, che ci trasporta con la mente tra i pescatori di ritorno dal viaggio in mare di cui parla il testo. La melodia è modale, come la maggior parte delle musiche nordafricane e mediorientali, lontanissima dalla forma canzone e dalla moda del tempo. Il testo è incentrato sulla figura dei marinai, che per necessità e scelta di vita sono obbligati ogni volta a ricominciare il viaggio. Il finale sfumato del brano ci trasporta nel pieno del mercato del pesce di Piazza Cavour. E' con questi suoni e voci che sembrano provenire da un passato ancestrale che si apre "Jamin-A" (Jamina), uno dei brani più erotici e spinti di De Andrè, con un testo esplicito e reso possibile dalla copertura offerta dal dialetto. Jamina è una "collega" di altre figure femminili di Faber, come Bocca di Rosa o Nancy, dai marcati tratti mediterranei ("lua de pelle scûa") (2), capace di far l'amore in modo quasi insaziabile. Ma dietro questo si nasconde altro, la speranza di un viaggio erotico, che ogni marinaio spera di affrontare dopo aver lottato contro un mare forza 8. L'atmosfera questa volta è molto coincitata, grazie a uno shannaj (un oboe turco) e a un oud (liuto arabo) che si rincorrono per tutto il brano. Si tocca il vertice di pathos in "Sidun" (Sidone), aperta dalle voci di Regan e Sharon. Un brano che racconta lo strazio di un padre il cui figlio è un'altra vittima innocente della guerra. Il dolore si trasforma in rabbia contro i soldati ("e i euggi di surdatti chen arraggë cu'a scciûmma a bucca cacciuéi de bæ a scurrï a gente cumme selvaggin-a finch'u sangue sarvaegu nu gh'à smurtau a qué") (3). Il lamento che occupa la coda del brano sembra travalicare i confini del tempo per rappresentare il dolore di tutte le persone coinvolte in conflitti armati, rendendolo un inno pacifista attuale ancora oggi. Si torna su ritmi più movimentati e positivi con "Sinàn Capudàn Pascià" la vera storia di un marinaio genovese che da schiavo degli Arabi riuscì a diventare gran visir del sultano. Il Cigä ci da la sua personale visione della vita ("a sfurtûn-a a l'è 'n grifun ch'u gia 'ngiu ä testa du belinun/ a sfurtûn-a a l'è 'n belin ch'ù xeua 'ngiu au cû ciû vixín") (4) e racconta che nonostante si sia convertito all'Islam, la sua vita non è cambiata, "giastemmandu Mumä au postu du Segnü" (5). Con "Â pittima" (La pittima) e "Â duménega" (La Domenica) si torna nella Genova antica: il primo brano, delicata ballata con flauto traverso e flautino a canna in evidenza narra della figura dell'esattore di crediti, una persona che a causa del suo fisico è impossibilitato a far lavori duri, e che, per vivere, si sceglie un lavoro impopolare; un tipico caso di emarginazione sociale. Il secondo invece, inscena, tra mandolini e chitarre andaluse, il rito della passeggiata domenicale delle prostitute fuori dal quartiere dove erano costrette a vivere: vengono descritte le reazioni delle persone, dalle mogli incollerite, agli uomini finti perbenisti che in realtà le frequentano, ai bambini curiosi. E tra loro si nasconde anche il direttore del porto, che le insaulta nonostante sia felice che dal loro lavoro vengano i soldi per la ristrutturazione del porto. Chiude in modo ciclico l'album "D'ä mê Riva" (Dalla mia Riva), breve e malinconica ballata incentrata ancora sul tema del marinaio che sta per partire per un viaggio, con in sottofondo il rumore delle onde del mare.


    (1): padrone della corda marcia d'acqua e di sale
    che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare

    (2): lupa di pelle scura

    (3): e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
    con la schiuma alla bocca cacciatori di agnelli
    a inseguire la gente come selvaggina
    finché il sangue selvatico non gli ha spento la voglia

    (4): la sfortuna è un avvoltoio
    che gira intorno alla testa dell'imbecille
    la sfortuna è un cazzo
    che vola intorno al sedere più vicino

    (5): bestemmiando Maometto al posto del Signore
     
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  2. minister of r'n'r
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    Mea culpa se mi son fatto scappare questa recensione...meriterebbe di sicuro qualche commento perchè:

    a) inizio un nuovo corso arstico di Faber, dopo un periodo particolare
    b) segna il sodalizio con uno dei musicisti più sensibili e completi della musica nostrana, Mauro Pagani
    c) è probabilmente il primo esempio di World Music

    Personalmente non conosco per intero la discografia del cantautore genovese ma questo album mi ha sempre incantato, ed ogni volta che l'ascolto resto rapito da questi suoni cosi mediterranei, complessi ma decisamente caldi e passionali. Ovvio che il cantato in genovese non aiuti molto, ma qui la poesia è anche strumentale ("Jamin' A e incantevole ed avvolge con le sue trame). Adesso anche grazie alla spiegazione lirica di Norvegiese ho compreso perchè questo brano mi piace tanto :lol:
    Complimenti per la recensione, sopratutto perchè analizzi anche la parte lirica che aiuta a dare un senso ancora più profondo alla recensione.
    Sono perdonato adesso? :giggle: :giggle:
     
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1 replies since 5/5/2009, 16:51   2400 views
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