HAWKWIND - In Search Of Space

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  1. John!
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    HAWKWIND - "In Search Of Space"

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    Anno: 1971

    Etichetta: United Artists

    Tracklist:
    1. You Shouldn't Do That
    2. You Know You're Only Dreaming
    3. Master Of The Universe
    4. We Took The Wrong Step Years Ago
    5. Adjust Me
    6. Children Of The Sun

    più, nella ristampa, ci sono bonus track che trovate sotto spoiler

    SPOILER (click to view)
    7. Seven By Seven (Original Single Version)
    8. Silver Machine (Original Single Version)
    9. Born To Go (Live Single Version Edit)






    QUA trovate un'introduzione agli Hawkwind, quindi inutile ripetermi e ribadire le solite cose sullo space rock, perchè le trovate in quella recenzione, ma anche su qualsiasi webzine che parli anche si sfuggita degli Hawkwind; cosa meno facile da trovare è qualcuno che vi dica quale differenza c'è tra un album e l'altro, in pratica quale sarebbe la peculiarità di "In Search Of Space". Vado direttamente al nocciolo della questione.
    Innanzitutto la formazione è rimaneggiata, con uno dei tanti cambi di line up che si susseguiranno nella carriera della band: Dave Brock resta il compositore principale e cervello della band, nonchè cantante e chitarrista, affiancato al sax e altri strumenti a fiato dal grandissimo Nik Turner, e dal batterista Terry Ollis; l'elettronica è curata da Del Dettmar che si aggiunge a Dik Mik, mentre al basso arriva Dave Anderson. Come si nota già dalla formazione, risulta esserci una chitarra in meno ed elettronica raddoppiata, ecco già la prima grossa differenza con l'esordio: il suono è meno chitarristico, e molto più sprezzantemente space, i synth sono più pesanti; inoltre il basso è meno invasivo, meno funkeggiante. L'impressione che si ha è che la band abbia preso coscienza della sua vera portata innovativa e della sua specificità; ecco quindi l'album dell'emancipazione, ed ecco anche perchè non c'è più un brano "normale" ad aprire il disco che incomincia ex abrupto con una suite di 15 minuti di spazio profondissimo. L'album è molto più cantato rispetto all'esordio; anche questo è un segno di consapevolezza, e del fatto che non c'è più demarcazione tra canzoni (cantate) e fughe spaziali (interamente strumentali), ma c'è un solo mix di musica e parole che sfuggono all'attrazione gravitazionale terrestre, per perdersi inesorabilmente in cerca di spazio, dilatandosi senza forma e senza regole d'alcun tipo. Da ciò deriva un altro elemento fondamentale che distingue questo dal primo album: i brani sono tutti più dilatati, meno compatti, quasi...gassosi. "Lisergico" è la parola più appropriata per discriminare questi Hawkwind da quelli dell'esordio. Poi ne aggiungerei un'altra, che è Jazz ... eh già, perchè questo secondo album sgretola il rock stravolto del precedente, e si butta nell'avanguardia, e come sempre nella storia della musica, inizia a fare i conti con il jazz, che troviamo anche esplicitamente richiamato in diversi momenti, come vedremo. Allora immaginate la versione più psichedelica e rallentata del rock psichedelico inacidito al massimo, diluito con una base jazz e di musica d'atmosfera, più vicina alle soundtrack di film western che all'hard rock che, per come la vedo io, in quest'album risulta in un certo senso accantonato, e ne sono prova chiarissima tutte le parti di basso e batteria che non assomigliano affatto a qualsiasi cosa abbia a che fare con l' "hard" ne, in certi punti, con il rock.
    You Shouldn't Do That è il capolavoro assoluto degli Hawkwind, un quarto d'ora di jam, strumenti in delirio, musicisti che asaltano tutta la loro voglia di stupire in un crescendo di effetti speciali e virtuosismi che trascende qualsiasi aspettativa che si possa avere dalla musica, per trasferirsi sul piano del sogno e dell'esperienza mistica, perchè non c'è altro modo per descrivere questo pezzo. Inizia con un duetto elettronica-fiati, in cui si simula la messa in orbita di una macchina spaziale, infatti dopo un minuto e mezzo dall'inizio la macchina si stacca dal suolo, e si inserisce un giro di basso da brividi, poi di prepotenza la batteria, nella sua parte più pesante di tutto il disco, un tripudio di tempi che variano e si invertono in giochi prospettici divertentissimi, sui quali poi si adagia un assolo fantastico di sassofono, che poi duetta col rullante e con una chitarra liquefatta. stop. prima del quarto minuto tutto riprende in modo ancora più concitato, si rincara la dose di elettronica, il ritmo si fa nervosissimo, verso il quinto minuto abbiamo l'ingresso della voce, poi a ruota di nuovo basso e infine ancora sax solista impreziosito da inserti sintetici. Prima del settimo minuto tutto si sgretola nel vuoto e riprende sottoforma di jazz spaziale, in una baraonda di rumori d'ogni tipo ad un passo dalla cacofonia. dispersione al massimo. Prima del nono minuto riprende il motivo principale del brano, in seguito si aprono diversi sipari inaspettati e imprevedibili minuto per minuto, come scenette separate e distinte in una stessa frammentatissima cornice. Nuovo passaggio cantato, poi il gran finale jazzato con la reiterazione di tutti i trucchetti visti prima, sempre più schizzofrenici, smepre più anarchici, sempre più spaziali-rumoristici, una carovana che mi fa restare ogni volta che lo ascolto 5 minuti col fiato sospeso.
    I temi del brano sono: il limite dell'essere umano e delle sue possibilità ontologiche (quindi anche legate al suo divenire nello spazio e nel tempo) e cognitive; il rapporto con il "movimento" e con la gente ad esso estranea, sottolineando ancora una volta un certo esprit de corp; importanti le figure dell'ascensione e la figura della gente che ti riporta in basso; la metafora dell'uomo che spicca il volo è un topos abusatissimo orma, ma che forse nel contesto space degli Hawkwind e di quest'uomo in cerca di spazio trova il suo uso più appropriato.
    In You Know You're Only Dreaming c'è prima un minuto e mezzo cantato, su un sottofondo di suoni sintetici che intendono riecheggiare abissi spaziali, poi inizia un trip psichedelico di 5 minuti, delicatissimo, in cui a far da padrona è la chitarra, in un oceano di effetti e lussureggianti assoli lentissimi e caldi, che scandiscono momenti di improvvisazione strumentale, tutti molto soft, vibrazioni positive e calme, in cui si inseriscono sfumature di fiati, tutto molto discreto e smussato dalle asprezze del brano precedente; un brando meditativo, che sfuma e si dissolve gradatamente come un bel sogno. Un brano nebuloso insomma, e non è di certo casuale che l'iconografia della band, nel booklet vuole spessissimo il richiamo a nebulose, talvolta persino fotografate e commentate, corredate da testi che coniugano il fantascientifico alle foglie di maria.
    Ricorrente nel breve testo è il tema del sogno, e l'ossessione per il mistero e per i mondi sconosciuti, quella voglia di esotico....anzi, di alieno, che è una costante della petica dell'intera produzione della band; in questo senso è chiaro anche il significato di quel titolo "in cerca di spazio": la vita come costante tentativo di superamento della condizione umana terrena, per approdare a mondi misteriosi e nascosti; spontaneo è il collegamento col misticismo di matrice spiritualistica orientale, ma anche più semplicemente ci si collega a una pura e semplice curiosità, un conatus che spinge l'uomo a stare al mondo e scoprire...per scoprisri, in costante ricerca. Ma il sogno è anche dolore, è anche angoscia, perchè dietro quella porta può esserci di tutto, ed ecco l'immagine delle anime che gridano nella notte, l'immagine del caos che si sostituisce al sogno inteso in modo sereno, come in principio. Tutto questo è segno di una ricerca che non è mai indolore, di un cammino che può comportare dei rischi, sofferenza, imprevisti, ma che val sempre la pena di essere percorso.
    Master Of The Universe ---> anche questo brano è cantato, la voce in quest'album è generalmente più "aliena" ed effettata, lontana anni luce dalla serenità dell'esordio e da quell'atmosfera hippy un po campagnola. Il brano è elettrico e lisergico da paura, una distesa di suoni portati all'estremo, ritmo regolare e grossomodo ripetitivo, per un brano che gioca appunto su questo gioco d'ipnosi, impreziosito nella parte centrale da un lungo lavoro solistico di sax del sempre più protagonista Turner .
    Particolarmente interessante il testo di questo pezzo: "I am the centre of this universe / The wind of time is blowing through me / And it's all moving relative to me" fin qua sembra un'esplosione di volontà di potenza quasi..."eccentrica", derivata magari dall'immedesimarsi in una condizione di alterazione sensoriale autoindotta con le droghe, poi in seguito dice "It's all a figment of my mind / In a world that I've designed", quindi è chiaro che si tratta di un paradis artificiel, o forse no? tutto costruito dalla mente del "viaggiatore"...? è tutto dentro? è davvero tutto costruito nella mia testa? e torna il tema dell'illusione (ricordate quanto detto per "Mirror Of Illusion" nel primo album?), ma anche il tema della follia quando alla fine della strofa dice "Has the world gone mad or is it me?", fino allo scoramento finale "If you call this living I must be blind".
    We Took The Wrong Step Years Ago ---> semplicemente il pezzo più emozionante su cui Brock abbia mai messo le sue mani, la sua voce e la sua chitarra acustica, una ballata folk tristissima, con quel suono cristallino e quella voce passionale ma quasi alienata, persa nel vuoto. A fare da sottofondo a chitarra e voce è un intreccio di suoni freddi, elettronici, una specie di impronta di un universo che respira, vive attorno a noi, o che magari abbiamo costruito proprio noi attorno a noi stessi, un universo sintetico, percepito come artificiale e sinistro, quasi desolante, nel profondo sconforto di questo brano.
    Adjust Me ---> dopo 2 minuti di cyberdelirio consistente in una declamazione-confessione di una umanità ridotta a una massa di androidi impazziti, nessuno dei quali può guardare in faccia alla realtà, inizia il trip più perverso dell'album, una dissolvenza musicale che procede di pari passo con la dissolvenza mentale-spirituale, che poi è simboleggiata dall'androide che va in corto circuito e si spegne.
    Children Of The sun Stilisticamente nulla di nuovo, solo un'altra grande prova di gusto e semplice melodia, un brano sereno e fiero suonato con sola chitarra acustica e armonica. un breve epilogo che è la fine dell'incubo, la fine del viaggio, il risveglio, l'uomo ha trovato il senso del proprio destino, e come si può vedere nel testo integrale di sotto, è quasi profetico, molto toccante.

    The golden age of the future comes
    That which was dreamed of in the past
    Where freedom reigns on minds of peace
    Minds rich in wisdom to the last
    We are the children of the sun and this is our inheritance
    No longer chaos and confusion
    But love and laughter
    Song and dance

     
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  2. minister of r'n'r
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    allora, innanzitutto ne approfitto per complimentarmi per la recensione, dopo aver ben assimilato quest aopera secondo degli hawkwind e rileggendo le tue righe, devo dire che hai reso in maniera davvero ottimale l'atmosfera (sulfurea, futuristicanmente jazzata) che si resprira nel disco. non ho ancora acquistato il disco d'esordio e non l'ho mai sentito, perciò mi limiterò a dire la mia sulle 6 canzoni (più tre bonus track nella ristampa che possiedo) di questo "strano" album.
    si strano perchè praticamente questo è il primo album etichettabile "space rock" che ascolto in vita mia...e tutto sommato è stato un'ascolto più che soddisfacente. l'opener y"ou shouldn't do that" ha una ritmica al limite del jazzato, mentre la chitarra liquida e "rumorosa" pare essere l'antipasto dello stoner che verrà...la voce di dave brock pur non essendo particolarmente evocativa ben si sposa con le fughe sonore della band, senza mai inoltrarsi in lidi troppo "eccessivi" per il suo timbro. "you know.." pare avere nella spirale di suoni dei suoi ultimi due minuti il punto di forza dell'intero pezzo...una tromba accompagna un flauto ch eimbastisce una linea spezzata dalla batteria che è in puro free style..le sirene di master of universe introducono un riff di chitarra alla quale il basso si affianca subito...è il pezzo "hard rock" del disco, se mi si può passare il termine, pare quasi un pezzo dei contemporanei sabbath, almeno nell'acidità dei suoni..l'unica differenza può stare forse nel sax..."we took the wrong..." è quello che forse si può definire "la canzone" di questo album, nel senso che possiede una struttura abbastanza semplice per quello che gli hawkwind han fatto sentire nei trenta minuti precedenti...la chitarra acustica tesse bene per la voce di brock, ispiratissimo nella sua parte. "adjust me" pare venire da un'altro pianeta, qui la psichedelia si fà robotica ma pure un pochetto anomala...anche riascoltandola, non mi dice niente.."children of the sun" è la marcietta finale di questo viaggio pseudo psichedelico, anche qui atmosfere rilassate sotto un tappeto di synth...niente male, degna chiusura..

    capitolo "bonus track":
    "seven by seven": atmosfera molto spaziale in questa prima bonus track...la voce e filtrata, il basso pulsa e la chitarra regge una melodia ben espressa nel chorus.
    "silver machine": questo pezzo pare essere un pochetto protopunk, ovviamente in chiave sintetica...la strofa scivola ricordando vagamente "fox on the run" degli sweet, il sax detta la melodia a meta del pezzo, la batteria imbastice un ritmo selvaggio...davvero un gran pezzo.
    "born to go":nonostante sia in versione live la qualità è davvero eccellente, dimostra ancora la perfetta simbiosi tra i musicisti, in una cavalcata (ottima) rock psichedelica...elettrica, selvaggia e corrosiva...ritmo perpetuo


    inssoma, un'ottima scoperta, lontano dalle mie preferenze primarei in fatto di musica, per questo forse mai potrò capire a pieno l'arte di questa band schizzatissima...ma il genio non è una cosa relativa...e gli hakwind geniali lo erano.
     
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1 replies since 4/4/2007, 16:12   365 views
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